Empietà

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L'empietà (greco ασέβεια, asebeia)[1] è, nella concezione generale, la trascuratezza del culto della religione dominante nel luogo ed in un dato momento storico, ovverosia della totalità della pratica religiosa esteriore; indipendentemente dalle sue sacre scritture, dalla sua teologia o mitologia, o dalla fede personale dei suoi credenti. L'empietà si distingue, in quanto atto passivo, dall'eresia che implica invece l'attiva opposizione al dogma religioso. Nonostante l'evidente differenza, storicamente, i reati di eresia o empietà sono stati sostanzialmente perseguiti e condannati utilizzando gli stessi criteri, sottostante l'obbligo di osservare il dogma religioso o politico, fedelmente e assolutamente. Nella società moderna non può esistere un reato di empietà visto il pluralismo religioso e visto il rapporto singolo e soggettivo che ogni individuo ha con la propria religione.

Personaggi accusati di empietà o eresia

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  1. ^ Il termine compare per la prima volta in Teognide: "onora e temi gli dèi, Cirno, perché è questo che impedisce all'uomo di dire e fare empietà." (1179-1182). Vedere A. Momigliano, Empietà ed eresia nel mondo antico, p. 443.
  • Arnaldo Momigliano, Empietà ed eresia nel mondo antico, "Rivista storica italiana", 83, 1971, pp. 771-791 (ristampato in: A. Momigliano, Sesto contributo alla storia degli studi classici e del mondo antico, Vol. 1, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1980, pp. 437-458.

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