Menare il can per l'aia

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Menare il can per l'aia è un modo di dire colloquiale della lingua italiana. Chi "mena il can per l'aia" continua a parlare di un argomento senza mai arrivare al dunque, oppure cerca di cambiare discorso per evitare un argomento sgradito.

Si tratta di un'espressione di origine abbastanza antica, come dimostra l'uso di due termini abbastanza desueti nell'italiano contemporaneo: "menare" nel senso di "condurre" e l’"aia", il cortile interno delle fattorie; tuttavia è adoperata ancor oggi con una certa frequenza.

Essa compare già nel Dizionario della Crusca con la seguente definizione: "Mandare le cose in lungo per non venirne a conclusione. Lat. Tempus ducere"[1].

La stessa Accademia della Crusca dà come fonte autorevole per l'inclusione della locuzione nel proprio Dizionario l’Ercolano di Benedetto Varchi (1565):

«Di quelli che favellano, o piuttosto cicalano assai, si dice: egli hanno la lingua in balìa; la lingua non muore, o non si rappallozzola loro in bocca, o e' non ne saranno rimandati per mutoli: come di quelli che stanno musorni: egli hanno lasciato la lingua a casa, o al beccajo; e' guardano il morto; o egli hanno fatto come i colombi del Rimbussato, cioè perduto 'l volo. D'uno che favella, favella, e favellando, favellando con lunghi circuiti di parole aggira sé, e altrui, senza venire a capo di conclusione nessuna, si dice: e' mena 'l can per l'aja: e talvolta, e' dondola la mattea; e' non sa tutta la storia intera, perché non gli fu insegnato la fine; e a questi cotali si suol dire: egli è bene spedirla, finirla, liverarla, venirne a capo, toccare una parola della fine; e, volendo che si chetino, far punto, far pausa, soprassedere, indugiare, serbare il resto a un'altra volta, non dire ogni cosa a un tratto, serbare che dire.»

L'origine della locuzione non è però chiara. Nelle note al Malmantile racquistato (1688), Paolo Minucci si limita a parafrasare la locuzione così:

«L'aia è un luogo troppo piccolo per un cane da caccia»

La parafrasi a sua volta fa intuire che il cane da caccia, abituato a spazi più ampi, a boschi e luoghi scoscesi, non vada utilmente condotto in spazi ristretti.

Forse l'immagine è metaforica dell'atto locutorio[senza fonte]: come il cane si aggira per l'aia senza mai trovare ciò che gli serve, così la lingua di chi parla si muove a vuoto senza mai arrivare al punto.

Secondo un'altra interpretazione[senza fonte], chi mena il can per l'aia cerca di creare confusione (liberando, appunto, il cane nell'aia, in mezzo alle galline) per evitare di focalizzare l'attenzione su ciò che è sgradito.

«Non meno il can per l'aia; parlar soglio laconico.»

«La baronessa cercava di scavar terreno anch'essa, in aria disinvolta, facendosi vento e menando il can per l'aia.»

Equivalenti in altre lingue

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  1. ^ Dizionario degli Accademici della Crusca, Venezia 1724, vol. 1 p. 204
  2. ^ Dizionario della lingua italiana.
  3. ^ Il Malmantile racquistato, colle note di Puccio Lamoni e d'altri, Prato 1815, Tomo III, p. 88
  4. ^ Vladimir Kovalev, il Kovalev, Zanichelli, 2014, ISBN 9788808637277.
  5. ^ Claudia Cevese, Julia Dobrovolskaja, Grammatica russa, Hoepli, 1908.
  • Salvatore Di Rosa, Perché si dice: origine e significato dei modi di dire e dei detti più famosi, Milano, Club degli Editori, 1980, p. 65.